Montevideo, Uruguay. La Capitale Iberoamericana della Cultura 2013 ha voluto dare il suo contributo alle celebrazioni per il bicentenario di Verdi, aprendo con il Macbeth la stagione operistica (dall’evocativo titolo Oh!pera) dello storico Teatro Solís.
Negli ultimi anni, paesi dall’economia in crescita di questa parte del mondo, come il Brasile, l’Argentina o l’Uruguay stanno dando nuovo impulso ai loro preziosi e tradizionali teatri dell’opera offrendo stagioni che vedono impegnati artisti e musicisti di calibro internazionale.
Così di fronte a un teatro stracolmo il Maestro argentino Carlos Vieu, una delle “bacchette” più importanti del Sudamerica, ha diretto magistralmente quello che fu il primo, infiammato incontro tra Verdi e il suo drammaturgo preferito, William Shakespeare, e che diede vita a una delle tragedie più potenti della storia dell'umanità.
A Montevideo l’oscura vicenda di Macbeth è stata portata in scena da un interessante cast internazionale, per la regia visionaria del brasiliano André Heller-Lopes, con il baritono uruguaiano Darío Solari nei degni panni del protagonista, e che noi italiani ricordiamo soprattutto per essere cresciuto artisticamente, proprio nel nostro Paese, sotto l’ala protettiva di Katia Ricciarelli.
L’opera, tratta dall’omonimo dramma shakespeariano, è la decima composta da Giuseppe Verdi, e fu rappresentata per la prima volta nel 1847 al Teatro della Pergola di Firenze. Il libretto fu firmato da Francesco Maria Piave che riuscì nell’impresa di adattare il complesso testo originale in cinque atti a una struttura in quattro ricca di cambi di scena; nel complesso il lavoro di Piave, rivisto in parte da Andrea Maffei, mostra nel risultato finale una notevole aderenza al dramma di Shakespeare. La trama, cupa e dalle atmosfere decisamente dark, nel corso dei secoli è diventata l’archetipo della brama di potere e dei rischi ad essa legati. Tra profezie, streghe e assassinii, essa narra le vicende maledette di Macbeth, diventato re di Scozia in seguito a un orribile delitto, e della sua ascesa, seguita e pilotata passo dopo passo dall’ambiziosa moglie, la leggendaria Lady Macbeth, interpretata qui dal soprano americano Elisabeth Blancke-Biggs, che ha incantato il pubblico, oltre che per la sua abilità, per il suo talento recitativo che è riuscito a tingere di fosche sfumature la dama più misteriosa del mondo dell’opera.
Lady Macbeth è il personaggio psicologicamente più sfaccettato: inconsciamente malvagia, ma al tempo stesso fragile e compassionevole. È lei a spingere Macbeth, di per sé ignavo, verso la serie di efferati delitti che lo porterà al trono.
L’ambientazione della produzione del Solís è assolutamente minimalista, così come i costumi che rimandano all’eleganza sartoriale degli anni ’40. Tutte le scene si svolgono in una grande scatola nera che presenta su un lato una serie di finestre che le conferiscono un’aria di severa architettura razionalista e dove onnipresenti sedie nere thonet e chiavarine costituiscono praticamente gli unici arredi. Merita però qualche riflessione la regia di Heller-Lopes colta e sensibile, ma che potrebbe aver lasciato qualche perplessità in uno spettatore magari meno avezzo all’opera. Parlo per esempio della scelta nella scena del banchetto di non far apparire, se non alla fine, il fantasma di Banco insanguinato, ma in sua vece un’abbagliante luce bianca che illumina il suo seggio. Anche se alcuni elementi possono risultare forzatamente innovativi, come l’intingolo preparato dalle streghe nei forni a microonde o l’uccisione di Banco con una mazza da baseball, in generale la regia ha sicuramente colto lo spirito classico dell’opera pur arricchendola di molte idee eleganti e originali. Può infatti risultare un’interessante chiave di lettura l’aver donato al banchetto un’aria frivola e vagamente volgare, interpretando quanto poco degni siano i nostri protagonisti di essere regnanti. Bellissima è la scena dopo il primo delitto, dove quattro vestali impegnate a lavare il sangue sparso sui muri con catini e stracci, fanno da sfondo a un solitario Macbeth, o quella delle apparizioni dove dietro un grande sipario velato spiriti inquietanti oracolano il futuro del misero re, o ancora il chiaro rimando a Café Müller di Pina Bausch nella scena del sonnambulismo, dove il dottore e la dama di compagnia si affannano a scansare le sedie che intralciano il cammino incerto della regina ormai delirante.
Il soliloquio di Macbeth di fronte all’apparizione del pugnale insanguinato e la celeberrima scena del sonnambulismo di Lady Macbeth sono solo due tra i momenti più ispirati dell’opera verdiana, in cui il compositore raggiunse l’apice dell’inventiva e della suggestione musicale. Così come le parti cantate dall’eroico Macduff, il coro delle streghe e la vivida apparizione degli otto re, momenti di un’opera tra le più teatrali e drammatiche di sempre.
Penso che la regia adotti la revisione fatta da Verdi nel 1865, nota soprattutto per la grandiosa aria “La luce langue” cantata da Lady Macbeth , per il meraviglioso coro di apertura del quarto e ultimo atto, riuscendo a far emergere le oscure motivazioni che guidano la coppia di malvagi protagonisti, ma anche la luce accecante della giustizia quando colpisce coloro che hanno sbagliato.
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